Tribunale Roma 25 giugno 2015, Sezione I^, Giud. Galterio: no al risarcimento del danno in favore del coniuge tradito richiesto successivamente alla separazione consensuale

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Con specifico riguardo poi alla violazione dell’obbligo di fedeltà, accanto ad una corrente giurisprudenziale tesa a riconoscere la sussistenza in re ipsa del nesso di causalità, con inversione dell’onere della prova a favore del coniuge tradito (Cass. Civ. Sez. I, sentenza n. 25618/2007),  un contrapposto indirizzo  afferma che nel vigente diritto di famiglia, contrassegnato dal diritto di ciascun coniuge, a prescindere dalla volontà o colpe dell’altro, di separarsi e divorziare, in attuazione di un diritto inviolabile di libertà riconducibile all’art. 2 Cost., ciascun coniuge può legittimamente far cessare il proprio obbligo di fedeltà proponendo domanda di separazione ovvero, se ne sussistono i presupposti, direttamente di divorzio … se l’obbligo di fedeltà viene violato in costanza di convivenza matrimoniale, la sanzione tipica prevista dall’ordinamento è costituita dall’addebito con le relative conseguenze giuridiche ove la relativa violazione si ponga come causa determinante della separazione fra i coniugi.

Una recente decisione della Corte Suprema (15 settembre 2011 n. 18853), prendendo le mosse da caso di una richiesta risarcitoria avanzata autonomamente da un coniuge nei confronti dell’altro conseguente alla violazione dei doveri nascenti dal matrimonio, sebbene fra gli stessi fosse intervenuta separazione consensuale, ha affermato che “i doveri che derivano ai coniugi dal matrimonio hanno natura giuridica e la loro violazione non trova necessariamente sanzione unicamente nelle misure tipiche previste dal diritto di famiglia, quale l’addebito della separazione, discendendo dalla natura giuridica degli obblighi suddetti che la relativa violazione, ove cagioni la lesione di diritti costituzionalmente protetti, possa integrare gli estremi di dell’illecito civile e dare luogo al risarcimento dei danni non patrimoniali ai sensi dell’art. 2059 c.c., senza che la mancanza della pronuncia di addebito in sede di separazione sia preclusiva dell’azione di risarcimento relativa a detti danni” .

Il presupposto da cui muove la citata pronuncia è che all’interno del rapporto coniugale la violazione di diritti della persona costituzionalmente protetti, quali la salute, l’immagine, la riservatezza, le relazioni sociali, la dignità del coniuge, e via dicendo possa trovare tutela indipendentemente dal fatto generatore della loro stessa lesione, come se la separazione dei coniugi, in conseguenza della quale la pretesa risarcitoria viene invece azionata, fosse avulsa dalla violazione degli specifici doveri che hanno determinato il venir meno della convivenza tra costoro.

Di diverso avviso il Tribunale Civile di Roma,  che con sentenza 25 giugno 2015, afferma che detto principio non è invocabile nel caso in cui  la violazione dei suddetti doveri venga invocata dal coniuge asseritamente leso a seguito della separazione e dunque dell’accertata improseguibilità della convivenza a seguito di una condotta che avrebbe, a detta dello stesso danneggiato, inequivocabilmente causato la rottura del consortium familiae.

E’ proprio lo specifico collegamento tra causa ed effetto, implicito nella stessa domanda risarcitoria, a far si che la violazione dei suddetti doveri assuma rilevanza in quanto sia stata determinante dell’improseguibilità della convivenza, ove si consideri che diversamente opinando si verrebbe a rinnegare l’essenza stessa del vincolo matrimoniale, fondato sulla libertà non solo del consenso iniziale, ma anche della sua permanenza nel prosieguo del rapporto.

In altri termini il danno non patrimoniale in tanto può essere invocato in quanto sia stato conseguenza della separazione coniugale posto che l’illecito si consuma all’interno del rapporto matrimoniale, che quand’anche non avente natura meramente contrattuale, è pur sempre il vincolo da quale discendono gli specifici obblighi e diritti reciproci in capo ai contraenti.

Pertanto ove si escludesse il rapporto di accessorietà tra addebito e domanda risarcitoria verrebbe necessariamente meno l’ingiustizia del danno derivante dalla condotta che è stata foriera, proprio perché posta in essere in violazione degli specifici obblighi derivanti dal matrimonio, del mutamento dello stesso rapporto di coniugio: l’accertamento che non vi è stata violazione dei doveri nascenti dal matrimonio o che l’inosservanza di essi si è innestata in un rapporto già esaurito non può infatti non escludere alla radice la sussistenza del danno ingiusto sul quale si fonda la pretesa risarcitoria.

Peraltro, la proclamata autonomia di quest’ultima rispetto a quella dell’addebito non può non avere innegabili ricadute anche sul piano del dedotto e del deducibile atteso che proprio perché trattasi di danno derivante dalla violazione di specifici obblighi coniugali il medesimo deve essere necessariamente azionato nell’ambito del giudizio di separazione, con conseguente preclusione di un’azione successiva che potrebbe astrattamente porsi in contrasto con il giudicato già in precedenza formatosi sulla separazione.

Del resto, venendo alla disamina dei profili più strettamente processuali, ove il rapporto tra le due domande non potesse porsi in termini di necessaria accessorietà, la conseguenza non potrebbe che essere quella, all’evidenza paradossale, dell’inammissibilità della domanda risarcitoria nell’ambito del giudizio di separazione. Invero configurandosi la connessione per accessorietà in presenza in uno stesso giudizio di due o più obbligazioni che siano tra loro in rapporto di subordinazione o tra le quali sussista un vincolo di consequenzialità logico – giuridica, in forza della quale una delle pretese trovi la sua ragione giustificatrice nell’altra, il giudice non potrebbe che, malgrado la diversità del rito applicabile alla domanda di separazione, assoggettato alla camera di consiglio, e a quella risarcitoria, disciplinata nelle forme del rito ordinario di cognizione, procedere all’esame del risarcimento richiesto nell’ambito dello stesso processo, in applicazione dei principi di economia processuale e del vincolo del giudicato che si estende non soltanto alle questioni di fatto e di diritto fatte valere in via di azione e di eccezione e dunque costituenti l’oggetto della decisione, ma anche alle questioni non dedotte in giudizio che costituiscano, ciò nondimeno un presupposto logico – essenziale ed indefettibile della decisione stessa, restando salva soltanto la sopravvenienza di fatti e situazioni nuove verificatesi dopo la formazione del giudicato stesso.

Esclusa pertanto sulla base delle argomentazioni appena esposte l’autonomia della domanda del risarcimento del danno morale azionata dal ricorrente rispetto alla separazione giudiziale, il Tribunale ha concluso per il rigetto della domanda acon compensazione delle spese di lite, stante il contrasto giurisprudenziale.

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