Tag Archivio per: ex

[:it]

separazione-e-soldi_smallLa Prima Sezione Civile della Corte di Cassazione, con ordinanza n°5603 del 29 novembre 2019, depositata in cancelleria il 28 febbraio 2020, ha statuito – alla luce dei principi già affermati in materia – che non può riconoscersi il diritto a percepire l’assegno di mantenimento all’ex moglie che svolge un lavoro in nero di cui non possa accertarsi l’effettivo guadagno che la stessa realizza.

Il caso

La vicenda trae origine da una causa di cessazione degli effetti civili del matrimonio nella quale il Tribunale di Rovigo, investito della questione, riconosceva all’ex moglie il diritto a percepire un assegno divorzile nella misura di euro 300,00. Dolendosi di tale decisione, l’ex marito ricorreva alla Corte di Appello di Venezia, che confermava la decisione del giudice di prime cure, rilevando come il marito godesse di una situazione economica migliore rispetto a quella della moglie, la quale, dopo la separazione, si era ritrovata a svolgere prestazioni di manicure in modo irregolare e non stabile.

A fronte del rigetto del suo gravame da parte della Corte d’Appello, il ricorrente, adiva la Suprema Corte deducendo come il Giudice di merito avesse fondato la conferma del suo obbligo di corrispondere l’assegno di mantenimento alla moglie esclusivamente sulla circostanza che la saltuaria occupazione dalla medesima svolta non fosse tale da assicurarle un tenore di vita tendenzialmente analogo a quello tenuto in costanza di matrimonio.

Il giudizio della Suprema Corte

Con la decisione in commento, la Suprema Corte, ha accolto il ricorso dell’ex marito alla stregua del consolidato principio di diritto sancito dalle Sezioni Unite, sentenza n. 18287 dell’11 luglio 2018 e ribadito dalla Corte di Cassazione, Sez. I, Ord. n. 1882 del 23 gennaio 2019, secondo cui all’assegno divorzile deve attribuirsi oltre alla natura assistenziale, anche natura perequativo-compensativa. Detta natura discende direttamente dalla declinazione del principio costituzionale di solidarietà e conduce al riconoscimento di un contributo volto a consentire al richiedente non il conseguimento dell’autosufficienza economica sulla base di un parametro astratto, bensì il raggiungimento in concreto di un livello reddituale adeguato al contributo fornito nella realizzazione della vita familiare, in particolare tenendo conto delle aspettative professionali sacrificate e senza che la funzione equilibratrice del reddito degli ex coniugi, anch’essa assegnata dal legislatore all’assegno divorzile, venga finalizzata alla ricostituzione del tenore di vita endoconiugale, ma piuttosto al riconoscimento del ruolo e del contributo fornito dall’ex coniuge economicamente più debole alla formazione del patrimonio della famiglia e di quello personale degli ex coniugi.

In conclusione

Gli Ermellini:

  • hanno rilevato che la Corte territoriale non si è attenuta a tali principi, applicando, di contro, l’ormai superato criterio del tenore di vita goduto dal coniuge richiedente in costanza di matrimonio;
  • non hanno accertato, in applicazione dei suddetti principi “…l’effettivo guadagno che la (omissis) realizza con l’attività svolta, che comunque – in quanto in concreto accertata – evidenzia una capacità lavorativa e reddituale della medesima”;
  • hanno conseguentemente cassato la sentenza impugnata con rinvio alla Corte d’Appello di Venezia, in diversa composizione, affinché proceda ad un nuovo esame del merito della questione alla luce dei principi giurisprudenziali sopra enunciati.

Articolo a cura della dott.ssa Michela Terella.[:]

[:it]

kate-separatedIl Tribunale civile d’Ancona, si è recentemente pronunciato su una delle questioni più comuni che sorgono a seguito della disgregazione della famiglia “tradizionale” fondata sul matrimonio e dall’instaurazione di nuovi rapporti sentimentali da parte dell’ex moglie e l’ex marito: la debenza, o meno, dell’assegno divorzile.

Come sottolineato più volte negli ultimi anni dalla Suprema Corte, infatti, una mera relazione, priva dei caratteri di stabilità, non fa venir meno, di per sé, il diritto al c.d. assegno divorzile. Diverso discorso, invece, nel caso in cui l’ex moglie o l’ex marito si siano risposati ovvero abbiano creato una “nuova famiglia”. In tale caso infatti, “l’instaurazione da parte del coniuge divorziato di una nuova famiglia, ancorché di fatto, rescindendo ogni connessione con il tenore ed il modello di vita caratterizzanti la pregressa fase di convivenza matrimoniale, fa venire definitivamente meno ogni presupposto per la riconoscibilità dell’assegno divorzile a carico dell’altro coniuge, sicché il relativo diritto non entra in stato di quiescenza, ma resta definitivamente escluso. Infatti, la formazione di una famiglia di fatto – costituzionalmente tutelata ai sensi dell’art. 2 Cost. come formazione sociale stabile e duratura in cui si svolge la personalità dell’individuo – è espressione di una scelta esistenziale, libera e consapevole, che si caratterizza per l’assunzione piena del rischio di una cessazione del rapporto e, quindi, esclude” (sul punto, ex multis Cass. n°6855/2015 e n°2466/2016).

Secondo il condivisibile principio sopraesposto, la Suprema Corte, ha inteso:

  • privare di ogni rilevanza l’esistenza o meno dell’elemento formale del vincolo matrimoniale, al fine di appurare se la nuova unione possa o meno definirsi quale “nuova famiglia” – e ciò conformemente a quanto più volte ribadito dalla Corte europea dei diritti dell’uomo (ex multis, Corte EDU, Vallianatos c. Grecia del 7 novembre 2013);
  • valorizzare la scelta libera e consapevole di chi, dopo il divorzio, decida di farsi non solo una nuova vita bensì anche una nuova famiglia, liberando conseguentemente l’ex coniuge da ogni dovere, anche di natura economica ed assistenziale, derivante dall’oramai sciolto vincolo matrimoniale;
  • responsabilizzare l’autore di tale scelta, escludendo che l’ex marito o l’ex moglie possano, in caso di fallimento della successiva unione – in particolar modo se more uxorio, dalla cui eventuale rottura, come noto, non discende per i partner alcun diritto ad assegni alimentari o di mantenimento a carico dell’ex partner – pretendere nuovamente una assistenza economica da parte dell’altro ex coniuge.

La vicenda in esame

Il caso sottoposto al Tribunale marchigiano vede contrapposto un ex marito che, stanco di versare un assegno divorzile alla propria ex moglie – la quale da tempo aveva instaurato una relazione more uxorio con un nuovo uomo e che si rifiutava immotivatamente di accettare o ricercare essa stessa posizioni lavorative che le permettessero di acquistare un’indipendenza economica – adiva l’autorità giudiziaria al fine di veder modificati i provvedimenti divorzili e revocato, o quantomeno ridotto significativamente, l’assegno mensilmente versato.

L’ex moglie si costituiva in giudizio opponendosi all’accoglimento della domanda, contestando l’esistenza di una stabile convivenza, eccependo l’impossibilità per motivi di salute a lavorare e chiedendo in via riconvenzionale l’aumento dell’assegno di mantenimento in favore dei figli, maggiorenni ma ancora non economicamente dipendenti.

Sulla prova della creazione di una nuova famiglia e la conseguente revoca dell’assegno divorzile.

La pronuncia del Tribunale di Ancona appare di particolare interesse per le considerazioni espresse dal giudicante in merito alla valenza delle prove fornite dalle parti a riprova e a confutazione dell’esistenza di una “nuova famiglia”.

In particolare, ad avviso del Tribunale marchigiano l’esistenza di una stabile convivenza risultava comprovata alla luce:

  1. dell’ammissione della resistente circa l’esistenza di un legame affettivo perdurante da anni e dalla mancata contestazione dell’inizio della suddetta relazione dopo la sentenza di divorzio;
  2. delle fotografie pubblicate sui social network raffiguranti la nuova coppia, non contestate dalla resistente;
  3. dei periodi di vacanza dagli stessi trascorsi insieme (a nulla rilevando la ripartizione delle relative spese tra i partner);
  4. della relazione investigativa in atti.

Con particolare riferimento alla suddetta relazione investigativa, il Tribunale, pur riconoscendo alla stessa mero valore indiziario, alla luce della giurisprudenza della Suprema Corte (Cass. n°11516/2014), riteneva che le relative risultanze potessero ciò non di meno essere liberamente apprezzate dal giudice di merito e fossero utili al fine del decidere in quanto confermate dalle altre evidenze probatorie e attestanti la non occasionalità della frequentazione nonché la sua risalenza del tempo. Di fatti, dalla predetta investigazione emergevano plurimi elementi atti a confermare la natura della stabile convivenza e, in particolare:

  • il libero accesso del partner alla casa della resistente, anche quando quest’ultima era assente;
  • il pernottamento dello stesso presso la casa della resistente;
  • la circostanza che detta casa fosse punto di arrivo e di partenza della coppia in occasione dei loro viaggi insieme.

Di contro, alcun valore poteva attribuirsi alla tesi dell’asserita natura occasionale della predetta relazione, sostenuta invano dall’ex moglie in quanto:

  1. l’asserita circostanza che il partner avesse solo occasionalmente utilizzato la casa della resistente poiché erano in corso i lavori di ristrutturazione della propria abitazione, corroborava – anziché smentire – la tesi attorea “…posto che nell’impossibilità di utilizzare la propria abitazione lo stesso ha fatto riferimento proprio alla abitazione della compagna”;
  2. la mera sussistenza di un’abitazione propria del partner non escludeva tout court…la natura della stabile convivenza e la sussistenza di un comune progetto di vita”;
  3. le evidenze anagrafiche, parimenti, non avevano “…rilievo dirimente al fine di escludere la convivenza o la natura stabile di essa…” non potendosi fare dipendere l’accertamento della sussistenza del diritto all’assegno divorzile da risultanze anagrafiche che ben potrebbero essere inficiate da condotte strumentali delle parti.

Alla luce degli elementi sopra raffigurati e dell’adeguatezza dei redditi del nuovo partner, come ammesso dalla stessa resistente, il Tribunale ha pertanto ritenuto di poter affermare che quest’ultimo “…goda di proventi sufficienti per creare con la signora quella comunanza di risorse economiche che giustifica la revoca dell’assegno divorzile…”.

[:]

[:it]

imagesIl 2017 ha segnato un nuovo anno rivoluzionario nel diritto di famiglia, soprattutto per ciò che attiene ai presupposti per la concessione (an debeautur) e la quantificazione (quantum debeatur) dell’assegno divorzile.

La Suprema Corte, a partire dalla sentenza n°11504 del 10 maggio 2017, ha mutato il suo precedente orientamento, statuendo che la verifica giudiziale sull’an debeatur debba informarsi al “… principio dell’autoresponsabilità economica di ciascuno dei coniugi quali ‘persone singole’ ed il cui oggetto è costituito esclusivamente dall’accertamento … [del] la sussistenza delle relative condizioni di legge – ‘mancanza di ‘mezzi adeguati’ o, comunque, impossibilità ‘di procurarseli per ragioni oggettive’” – “…con esclusivo riferimento all’‘indipendenza o autosufficienza economica” del richiedente, essendo irrilevante in tale prima fase “…il tenore di vita analogo a quello goduto in costanza di matrimonio”;

Di recente, tuttavia, il Tribunale di Roma, appare aver quantomeno mitigato l’applicazione dei suddetti principi, valutando “la mancanza dei mezzi adeguati” proprio alla luce del divario economico tra i coniugi e dello stile di vita goduto in costanza di matrimonio.

I fatti di cui è causa

La vicenda trae origine dal ricorso con cui un facoltoso collega ha chiesto al Tribunale civile di Roma:

  • di pronunciare la cessazione degli effetti civili del matrimonio contratto con l’ex moglie;
  • di revocare l’assegnazione della casa familiare, di sua esclusiva proprietà, disposta in sede di separazione;
  • di disporre il versamento diretto del mantenimento in favore della figlia, studentessa universitaria residente a Milano;
  • di statuire che nulla era dovuto a titolo di mantenimento dell’ex coniuge, in quanto la stessa, pur non lavorando, poteva contare su un considerevole patrimonio immobiliare ricevuto in eredità, nonchè di depositi in denaro, pensione e rendite da terreni boschivi.

Si costituiva l’ex moglie, non opponendosi alla pronuncia sullo status, chiedendo:

  • la conferma dell’assegnazione della casa coniugale, in quanto tuttora frequentata dalla figlia in occasione dei suoi soggiorni romani;
  • il versamento in suo favore di un assegno divorzile del considerevole importo di € 13.000,00;
  • il versamento di ulteriori € 1.700,00 a titolo di mantenimento per la figlia, opponendosi al mantenimento diretto della stessa da parte del padre.

La conferma dell’assegnazione della casa familiare

Alla base della richiesta di revoca dell’assegnazione della casa familiare, il ricorrente poneva la circostanza incontestata del venir meno del relativo presupposto, ovvero la permanenza dei figli nella casa familiare, e ciò in quanto:

  • il figlio maggiore, da tempo economicamente autosufficiente, risiedeva stabilmente in Inghilterra;
  • la figlia, anch’essa maggiorenne ma ancora alle prese con l’università, risiedeva stabilmente a Milano, pernottando nella casa familiare unicamente durante i suoi viaggi a Roma, in occasione delle festività e delle visite a parenti e amici.

Il Tribunale romano, tuttavia, rigetta la domanda attorea, confermando l’assegnazione alla madre della casa familiare “…sino alla sopravvenuta indipendenza economica della figlia…” alla stregua delle seguenti motivazioni:

  • dalle dichiarazioni rese in udienza dalle parti era emerso che la figlia, ancorché non residente più a Roma, aveva mantenuto un legame, anche affettivo, con l’abitazione familiare, ivi soggiornandovi durante periodi di vacanza e festività.
  • la ridotta frequenza dei periodi trascorsi a Roma non sarebbe idonea a interrompere detto legame tra la figlia e la casa coniugale, rappresentando quest’ultima per la stessa un “…punto di riferimento nella città e nel quartiere ove è cresciuta”.
  • La conferma dell’assegnazione della casa familiare alla madre avrebbe pertanto “…[al]lo scopo di garantire alla medesima la conservazione dell’ambiente domestico, quale centro di riferimento di consuetudini, affetti ed interessi”.

L’ordine diretto di pagamento del mantenimento in favore della figlia maggiorenne, economicamente non autosufficiente, non risiedente più quotidianamente con i genitori

Il Tribunale accoglie invece la richiesta di pagamento diretto del mantenimento in favore della figlia, proprio in considerazione “…(del)la mancanza di quotidiana convivenza fra madre e figlia giustifica”.

Ad avviso del Tribunale, infatti, “…la circostanza che allo stato la figlia, pur mantenendo lo stabile collegamento sopra detto con la ex casa coniugale assegnata alla madre, sia domiciliata a (omissis) per motivi di studio e faccia rientro a (omissis) dalla madre solo in occasione dei periodi di vacanza, comporta che sia maggiormente opportuno il versamento della somma di euro 1.500,00 direttamente in suo favore da parte del padre e del residuo importo (euro 200,00 mensili) in favore della madre ed in relazione alle spese necessarie, in proporzione al tempo da questa trascorso presso la casa di (omissis) alla gestione di tale immobile”.

Il diritto dell’ex coniuge all’assegno divorzile in considerazione dell’inadeguatezza dei mezzi, a loro volta considerati alla luce del divario economico tra le parti.

Passando poi alla determinazione della spettanza o meno dell’assegno divorzile in favore dell’ex moglie, il collegio ripercorre puntualmente l’iter dei giudizi di separazione e di modifica delle condizioni di separazione, analizzando la situazione patrimoniale della resistente, confermando la debenza dell’assegno divorzile in favore dell’ex moglie, reputando che la stessa avesse dimostrato “…di non disporre di mezzi adeguati e di non essere in grado di procurarseli per ragioni oggettive”.

Come espressamente ammesso dallo stesso Tribunale, il collegio è arrivato a tale conclusione “…all’esito della valutazione comparativa della complessiva condizione economica delle parti, dalla quale emerge un rilevantissimo divario economico tra le stesse che in alcun modo consente alla resistente, ove non colmato mediante l’assegno in questione di mantenere il medesimo elevato tenore di vita goduto della famiglia durante la convivenza coniugale”.

All’esito della fase istruttoria, era infatti emerso che:

  • il ricorrente, partner di un importante studio legale, vantava una “elevatissima capacità reddituale”, grazie a redditi professionali mensili di circa 30.000,00 euro oltre a immobili e partecipazioni societarie;
  • la resistente, di contro, percepiva un reddito mensile di circa € 1.000,00 a titolo di contributo AGEA per dei boschi siti in Sicilia, era proprietaria di beni immobili per un valore stimato dal C.T.U. di euro 1.827.000,00, disponeva di un fondo pensione e di circa € 80.000,00 su proprio conto corrente bancario.

Ad avviso del Tribunale la corresponsione di un assegno divorzile in favore dell’ex moglie era altresì pienamente conforme a quanto statuito dalla Suprema Corte, la quale, con la succitata sentenza n°11504/17 aveva ribadito: “…la natura assistenziale dell’assegno divorzile e da ciò ha enunciato il principio della “autoresponsabilità economica” degli ex coniugi, quale fondamento della valutazione relativa alla sussistenza del diritto della parte richiedente l’assegno (ad avviso della Suprema Corte infatti nella prima fase prevista dall’art. 5 della legge n. 898/70 e successive modificazioni – quella dell’an debeatur – occorre prescindere, nell’individuare l’adeguatezza o meno dei mezzi del richiedente l’assegno o comunque la sua possibilità di procurarseli, dal parametro del tenore di vita goduto durante la convivenza coniugale e dalla conseguente comparazione delle rispettive condizioni economiche degli ex coniugi e rifarsi piuttosto ad indici specificamente individuali dal giudice di legittimità e concernenti esclusivamente le condizioni del soggetto richiedente quali “1) il possesso di redditi di qualsiasi specie; 2) il possesso di cespiti patrimoniali mobiliari ed immobiliari, tenuto conto di tutti gli oneri latu sensu “imposti” e del costo della vita nel luogo di residenza … della persona che richiede l’assegno; 3) le capacità e possibilità effettive di lavoro personale, in relazione alla salute, all’età, al sesso ed al mercato del lavoro dipendente o autonomo; 4) la stabile disponibilità di una casa di abitazione”.

In particolare, secondo il Tribunale:

  • era indubbio il “…rilevante divario economico tra le parti, tanto dal punto di vista reddituale, quanto da quello patrimoniale”;
  • dall’istruttoria era altresì emerso che la resistente, cinquantacinquenne non aveva mai svolto “…rilevante attività lavorativa nel corso del matrimonio (se non saltuariamente quale restauratrice) e non sembra avere, nonostante le normali condizioni di salute (nulla essendo stato rappresentato in contrario), effettive e concrete possibilità di lavoro personale, peraltro essendosi prevalentemente dedicata nel corso del matrimonio – nell’ambito di un progetto di vita condiviso dagli allora coniugi – al sostegno della brillante carriera del marito ed al soddisfacimento delle esigenze della famiglia e della casa”;
  • il godimento da parte della stessa della casa familiare non poteva essere presa in considerazione in quanto la medesima le sarebbe rimasta assegnata sino all’oramai prossima indipendenza economica della figlia;
  • i redditi derivanti dai contributi AGEA erano appena sufficienti a “provvedere a tutte le esigenze della ex casa coniugale assegnatale”;
  • il patrimonio immobiliare della resistente, ancorché consistente, era inidoneo a produrre elevato reddito da locazione, in quanto un immobile era concesso in comodato d’uso gratuito al padre della stessa; un ulteriore immobile di cui era proprietaria al 20% era abitato per motivi di studi dalla figlia; ulteriori due appartamenti in comproprietà tra i coniugi erano a disposizione per l’utilizzo della figlia; i rimanenti immobili erano ruderi dai quali poteva ricavare non più di € 5.000,00 annui.

Passando poi alla quantificazione del predetto assegno, il Tribunale romano ricorre ancora una volta al raffronto della “…condizione economica complessiva delle parti”, quantificandolo in € 6.500,00 mensili, reputandolo congruo sulla scorta:

  • del predetto divario economico tra i coniugi;
  • del “…l’apporto che ciascuna delle parti ha fornito alla costituzione del patrimonio familiare atteso che se è vero che il nucleo familiare è stato essenzialmente ed egregiamente sostenuto economicamente dal ricorrente in misura largamente prevalente è altrettanto innegabile (e non contestato) che la resistente, fondamentalmente casalinga, abbia provveduto a coordinare la gestione della casa e ad occuparsi della crescita dei figli, dedicandosi con successo alla cura delle relazioni sociali del marito, così fortemente necessaria in relazione alla professione da esso svolta ad elevatissimi livelli”;
  • della rilevante durata del matrimonio.

A sommesso avviso di chi scrive, il ragionamento del Tribunale romano non appare scevro da critiche ponendosi forsanche in contrasto con le linee tracciate dalla Suprema Corte nella sentenza n°11504 del 10 maggio 2017, ad avviso della quale:

  • il divario economico tra i coniugi entra in gioco non già nella determinazione dell’an debeatur ma esclusivamente nella sua eventuale successiva quantificazione;
  • pertanto a nulla rilevando la circostanza che, in costanza di matrimonio, i superiori redditi dell’ex coniuge avevano permesso un tenore di vita più elevato “…se è accertatoche (il richiedente) è economicamente indipendente o effettivamente in grado di esserlo, non deve essergli riconosciuto tale diritto”.

Di contro, il Tribunale appare aver dato peso al fine della determinazione dell’adeguatezza dei mezzi proprio a quel divario economico trai coniugi che in tale sede non dovrebbe affatto essere preso in considerazione.

L’applicazione rigida del criterio dell’indipendenza economica, infatti, avrebbe certamente dovuto condurre il Tribunale a ritenere sufficiente a garantire l’indipendenza economica della signora:

  • la percezione di un reddito certo di oltre € 1.000,00 mensili, somma che consente la sopravvivenza a diversi milioni di nostri concittadini;
  • la titolarità di diritti reali per oltre € 1.800.000,00 euro;
  • una pensione;
  • la disponibilità di € 80.000,00 sul conto corrente.

La sensazione che anima lo scrivente è che il Tribunale romano abbia tentato di lenire la durezza dei principi ribaditi dalla Suprema Corte in considerazione delle particolarità del caso concreto, volendo apprestare tutela a tutte quelle donne ultracinquantenni che abbiano dedicato, di comune accordo, tutta la propria vita alla cura della famiglia e della casa nonché ad una vita di relazioni sociali e che si ritrovino, dopo un’intera vita matrimoniale, a non poter contare sulla solidità economica dell’ex coniuge per poter continuare a condurre il medesimo stile di vita avuto per tutta una vita.

[:]

[:it]

downloadCari amici Gengle,

di recente alcuni di voi mi hanno chiesto di spiegare quali possono essere le “giuste” armi da usare al fine di convincere il proprio ex inadempiente a versare il mantenimento dovuto per i figli. Nelle prossime righe proverò a fornirvi una risposta quanto più esauriente, distinguendo tra tutela penale e civile.

È necessario ricorrere subito dinnanzi al Tribunale?

No. In generale consiglio, come primo passo, di fare inviare una lettera di diffida e messa in mora, invitando il genitore inadempiente a versare il mantenimento arretrato, comprensivo di rivalutazione I.S.T.A.T. Molto spesso, infatti, l’effetto dissuasivo della lettera del vostro legale di fiducia potrebbe sortire gli stessi effetti con notevole risparmio di tempo e di denaro.

NB: per quanto attiene alla rivalutazione I.S.T.A.T. è importante che vi ricordiate che la stessa, se non richiesta tempestivamente, si prescrive nell’arco di 5 anni.

E se il mio ex non risponde o si rifiuta?

In tal caso, in virtù del provvedimento del Tribunale che regolamenta il mantenimento, sarà possibile agire in via esecutiva contro il vostro. A tal fine occorrerà notificargli dapprima un precetto di pagamento e successivamente scegliere tra gli strumenti individuati dal legislatore, quali il pignoramento dei suoi conti correnti, il pignoramento mobiliare ovvero immobiliare.

E se l’esecuzione è infruttuosa?

Se le azioni esecutive non hanno dato i frutti sperati non temete! Di recente, infatti, è stato istituito un apposito Fondo di solidarietà a tutela del coniuge in stato di bisogno, a cui è possibile accedere. Occorre però sottolineare come tale possibilità risulta allo stato “ristretta” esclusivamente ai soli coniugi separati. Ulteriore aspetto problematico riguarda la capienza del fondo, pari a soli ad euro 250.000 per l’anno 2016 ed euro 500.000 per l’anno 2017. Sul punto vi rimando al mio precedente articolo dedicato proprio a questo Fondo.

Ci sono rimedi per prevenire futuri inadempimenti?

Ci sono anche rimedi previsti dal codice civile al fine di garantire l’esatto adempimento delle obbligazioni di mantenimento, quale, ad esempio, richiedere al giudice di disporre l’ordine diretto di pagamento al terzo debitore del coniuge inadempiente. Questi terzi, di solito, sono il datore di lavoro dell’ex ovvero il conduttore di un appartamento di sua proprietà. L’importante è che il terzo sia un debitore di una somma determinata, indipendentemente dal fatto che sia una prestazione periodica o meno. Il presupposto, come chiarito dalla Corte di Cassazione (tra le tante Cass. n°23668/06), al fine di poter ottenere un ordine di pagamento diretto, consiste nell’idoneità del comportamento dell’ex inadempiente a suscitare dubbi sull’esattezza e regolarità del versamento in futuro del mantenimento.

In caso di inadempienza, inoltre, è possibile ottenere il sequestro dei beni dell’ex obbligato al mantenimento ai sensi dell’art. 156, comma 6 c.c.. Il vantaggio, rispetto al sequestro conservativo, è la necessità di dimostrare unicamente il fatto oggettivo dell’inadempimento, a prescindere dunque dalla dimostrazione del periculum in mora, ovvero la prova della gravità dell’inadempimento e/o l’intento di sottrarsi all’obbligo. Requisito necessario, tuttavia, è che vi sia già un provvedimento del giudice che stabilisca l’assegno di mantenimento.

Qualora poi l’ex inadempiente sia proprietario di beni immobili, sarà possibile procedere all’iscrizione di ipoteca giudiziale sul bene, garantendo così il mantenimento futuro.

L’inadempimento può essere sanzionato penalmente?

Per alcune persone il rischio di una condanna penale è un deterrente ben più forte rispetto alle tutele civilistiche. Il nostro codice penale, all’art. 570 c.p., prevede, infatti, la possibilità di condannare il coniuge in caso di violazione degli obblighi di assistenza familiare. Detto articolo, al comma 1, statuisce infatti che: “Chiunque abbandona il domicilio domestico o, comunque serbando una condotta contraria all’ordine o alla morale delle famiglie, si sottrae agli obblighi di assistenza inerenti alla responsabilità genitoriale o alla qualità di coniuge, è punito con la reclusione fino a un anno o con la multa da centrotre a milletrentadue euro.” Il successivo comma 2 chiarisce che “Le dette pene si applicano congiuntamente a chi: 1) malversa o dilapida i beni del figlio minore o del coniuge; 2) fa mancare i mezzi di sussistenza ai discendenti di età minore, ovvero inabili al lavoro, agli ascendenti o al coniuge, il quale non sia legalmente separato per sua colpa”.

Occorre però fare un’ulteriore precisazione. La Corte di Cassazione, con sentenza del 19 gennaio 2017 n°2666, pronunciandosi sulla richiesta di condanna di un ex non sposato per il parziale versamento del mantenimento per il figlio minore, ha ritenuto l’art. 570, co. 2, c.p. non applicabile ai genitori non coniugati.

Occorre altresì rilevare che, per venire condannato, il coniuge deve essere stato mosso dalla volontà di non adempiere e l’inadempimento deve essere considerato di non scarsa rilevanza.

È possibile fare sanzionare il genitore inadempiente anche in sede civile?

Certamente. L’art. 709 ter c.p.c. prevede, infatti, che “…In caso di gravi inadempienze o di atti che comunque arrechino pregiudizio al minore odo ostacolino il corretto svolgimento delle modalità di affidamento, può modificare i provvedimenti in vigore e può, anche congiuntamente:

1) ammonire il genitore inadempiente;

2) disporre il risarcimento dei danni, a carico di uno dei genitori, nei confronti del minore;

3) disporre il risarcimento dei danni, a carico di uno dei genitori, nei confronti dell’altro;

4) condannare il genitore inadempiente al pagamento di una sanzione amministrativa pecuniaria, da un minimo di 75 euro a un massimo di 5.000 a favore della Cassa delle ammende.

E se il mio ex vuole trasferirsi all’estero per sottrarsi all’obbligo di mantenimento?

Non temete! Il genitore inadempiente è solito recarsi all’estero, la revoca del suo passaporto potrebbe essere un’arma decisamente efficace. L’art. 12, secondo comma, della legge 21 novembre 1967, n. 1185 e successive modifiche dispone infatti che: “Il passaporto è altresì ritirato quando il titolare si trovi all’estero e, ad istanza degli aventi diritto, non sia in grado di offrire la prova dell’adempimento degli obblighi alimentari […] che riguardino i discendenti di età minore…”. A tal fine basterà non dare il proprio consenso al rilascio del passaporto o, qualora sia già stato dato, revocare il proprio consenso attraverso una semplice dichiarazione in questura. Quest’ultima dovrà individuare puntualmente l’inadempimento e il rischio di fuga e terminare con una dichiarazione del seguente tenore: “revoco il mio assenso all’espatrio del sig./della sig.ra ____ e chiedo il ritiro del passaporto, l’inibitoria all’utilizzo di ogni documento riconosciuto equipollente al passaporto ai fini dell’uscita dal territorio della Repubblica italiana, nonché l’adozione di ogni provvedimento atto ad impedirne l’uscita dal territorio nazionale”.

Questo strumento, ancora poco usato, può avere in numerosi casi un’importante effetto deterrente, inducendo il genitore inadempiente a versare il mantenimento.

La violazione degli obblighi di mantenimento ha effetti sull’affido?

Infine, la violazione costante degli obblighi di mantenimento potrebbero legittimare l’affido superesclusivo del figlio minore all’altro genitore ai sensi dell’art. 337 quater c.c., come recentemente ribadito dal Tribunale di Modena, con sentenza del 26 gennaio 2016

[:]

© Copyright - Martignetti e Romano - P.Iva 13187681005 - Design Manà Comunicazione Privacy Policy Cookie Policy