[:it]

downloadIl Tribunale civile di Parma, con ordinanza n°6854 del 9 ottobre 2017, ha recentemente dichiarato l’ammissibilità di un’istanza ex art. 186 quater c.p.c. con cui un cittadino aveva chiesto l’emissione di ordinanza condannatoria alla rifusione degli interessi anatocistici illegittimamente addebitati dal proprio istituto bancario sul proprio conto corrente bancario a tassi accertati quale usurari dal C.T.U. all’esito della fase istruttoria, conformemente ai principi sanciti nella celeberrima sentenza della Suprema Corte, sez. I^, n°12965 del 22 giugno 2016.

Di seguito il link al provvedimento disponibile sul sito www.ilcaso.it/giurisprudenza/archivio/18384.pdf[:]

[:it]Cosa dice sostanzialmente la legge sul prestito vitalizio ipotecario

 Il prestito vitalizio ipotecario ha per oggetto la concessione da parte di banche di “finanziamenti a medio e lungo termine” .

I finanziamenti vengono poi garantiti nei confronti della banca da “ipoteca di 1° grado su immobili residenziali”.

In caso di morte del mutuatario il debito deve essere pagato dai suoi eredi.

Il finanziamento può essere rimborsato integralmente in unica soluzione al momento della morte del soggetto (ovvero quando l’immobile ipotecato venga trasferito o vi si compiano atti che ne riducano il valore), oppure può essere stabilita una modalità di rimborso graduale della quota di interessi e delle spese.

Fin qui, quindi, non sembrano  esserci sostanziali differenze da un normale mutuo ipotecario, anche se normalmente per i mutui ipotecari inizia subito il sistema del rimborso col metodo “alla francese”, comprensivo anche di capitale. Ma si tratta di una scelta della banca, come possono constatare coloro che pattuiscono un periodo di preammortamento molto lungo.

In caso di mancato pagamento del debito da parte degli eredi la banca provvede a soddisfarsi sull’immobile ipotecato.

 Il prestito vitalizio ipotecario è riservato a persone fisiche con età superiore a 60 anni compiuti.

Anche in questo caso l’opzione non è contraria al disposto di legge vigente, anche se,  abitualmente, che le banche assai raramente concedono mutui ipotecari a persone “anziane” temendo che l’età avanzata del mutuatario possa creare problemi per la restituzione.

Spesso le banche addirittura prevedono che il piano di ammortamento del mutuo debba necessariamente terminare prima del raggiungimento dei 75 anni di età.

 

Esonero dal processo di esecuzione

La grande novità della legge sul prestito vitalizio ipotecario è costituita dal fatto che la banca che ha concesso tale tipo di mutuo è esonerata dalla normale procedura esecutiva.

Si tratta quindi di un meccanismo finalizzato a garantire la banca per il soddisfacimento dei suoi crediti, e per essa tagliato su misura. Ed ecco perché la legge ammette al beneficio del prestito vitalizio ipotecario i soggetti con età superiore a 60 anni. L’assoluta garanzia di poter ottenere il soddisfacimento dei propri crediti, mediante la concessione di un mutuo di valore inferiore al valore dell’immobile ipotecato, mette la banca in una botte di ferro, eliminando tutti i rischi in precedenza connessi all’età del mutuatario.

Secondo la norma, dopo aver concesso dodici mesi agli eredi del mutuatario per il rimborso integrale di quanto dovuto, “il finanziatore vende l’immobile a un valore pari a quello di mercato” oltretutto determinato da un perito “indipendente” incaricato dallo stesso finanziatore.
La banca ha quindi la possibilità di vendere, semplicemente, in proprio, proprio come se fosse una sua proprietà privata personale, l’immobile trattenendo tutte le somme ricavate dalla vendita per il rimborso del capitale, gli interessi, anche moratori, le spese, ivi comprese ovviamente le spese per la vendita.

Sarà il finanziatore stesso che, successivamente alla vendita, riconoscerà “al soggetto finanziato o ai suoi aventi causa” la differenza eventualmente residuante tra il prezzo conseguito dalla vendita e la spettanza della banca.

Circostanza, quest’ultima, piuttosto teorica, perché ovviamente l’interesse della banca è quello di ricavare dalla vendita del bene quanto a lei spettante.[:]

[:it]

Precisa la Cassazione, con sentenza 17 dicembre 2010 n. 25634, che in tema di obbligazioni pecuniarie, a seguito di condanna al pagamento di una somma di denaro oltre agli interessi legali da una certa data a quella del pagamento, non è consentito al creditore pretendere il pagamento di interessi composti, nel senso che quelli maturati in ciascun anno siano aggiunti alla somma dovuta per capitale e che gli interessi dovuti per ogni anno successivo siano computati sulla somma dovuta per capitale maggiorata degli interessi maturati nell’anno precedente. E ciò in quanto l’anatocismo, ex art. 1283 c.c., consente bensì che gli interessi scaduti possano produrre interessi dal giorno della domanda giudiziale (o per effetto di convenzione posteriore alla scadenza), purchè sia formulata una specifica domanda in tal senso e purchè il giudice abbia conformemente disposto in sentenza.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Sulla base del titolo esecutivo costituito dalla sentenza n. 349/2001 del tribunale di Roma, con ateo di precetto notificato il 25.2.2002 C.L. intimò a G.P. e P.G. il pagamento della somma di Euro 337.547,80, di cui 147.391,00 a titolo di interessi legali dal gennaio 1993 al giorno del pagamento.
I debitori si opposero, sostenendo che in atto di precetto gli interessi erano stati impropriamente calcolati e negarono che fosse dovuta la somma, anch’essa richiesta, di Euro 8.857,60 per la registrazione della sentenza, avendo la stessa disposto la compensazione delle spese di giudizio.
Il C. resistette: affermò che solo per mero errore materiale nell’atto di precetto s’era fatto riferimento alla rivalutazione degli interessi, in realtà richiesti senza alcuna rivalutazione e sostenne e ne la somma dovuta per la registrazione era dovuta, in quanto estranea alla disposta compensazione delle spese processuali, come tali anteriori alla sentenza. Il tribunale respinse l’opposizione con con sentenza 92/04
2.- La corte d’appello di Roma, investita del gravame dei debitori G. e P., ha sostanzialmente respinto l’appello, limitandosi a determinare in Euro 337.018,27 (in luogo di Euro 337.547,80, domandate in precetto per errore materiale di calcolo) la somma dagli stessi dovuta. Ha ritenuto la corte territoriale che infondatamente gli appellanti s’erano doluti che gli interessi sul capitale di Euro 180.778,99 fossero stati domandati nella misura di Euro 147.391,00, in luogo di quella sia formulata una specifica domanda in tal senso e purchè il giudice abbia codi Euro 111.909,61 a loro avviso dovuta. Tanto perchè il C. s’era limitato – come risultava dalla tabella riportata in sentenza – a conteggiare i cd. interessi composti, ma senza rivalutarli. L’errore dei debitori appellanti era invece consistito nell’aver calcolato “ogni anno gli interessi soltanto sulla sorte, senza procedere ad addizionare di anno in anno gli interessi maturati nell’anno precedente”. 3.- Avverso la sentenza ricorrono per cassazione G.P. e P.G., affidandosi a due motivi illustrati anche da memoria, cui resiste con controricorso C.L..

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Col primo motivo è denunciata violazione e falsa applicazione degli artt. 1224, 1283 e 1458 c.c. per avere la corte ritenuto corretto l’atto di precetto laddove erano stati richiesti gli interessi composti.
1.1.- Il motivo è fondato.
A seguito di condanna al pagamento di una somma di denaro oltre agli interessi legali da una certa data a quella del pagamento, senza ulteriori statuizioni, non è consentito al creditore pretendere il pagamento di interessi composti, nel senso che quelli maturati in ciascun anno siano aggiunti alla somma dovuta per capitale e che gli interessi dovuti per ogni anno successivo siano computati sulla somma dovuta per capitale maggiorata degli interessi maturati nell’anno precedente. Tanto realizza infatti l’anatocismo, che ex art. 1283 c.c. consente bensì che gli interessi scaduti possano produrre interessi dal giorno della domanda giudiziale (o per effetto di convenzione posteriore alla scadenza), ma purchè nformemente disposto in sentenza.
Non è nella specie controverso che così non fosse.
2.- Col secondo motivo i ricorrenti in sostanza si dolgono che la corte d’appello abbia lasciato a loro intero carico la somma di Euro 8.857,00 richiesta in precetto dal C. per la registrazione della sentenza costituente il titolo esecutivo. Assumono che essa fosse dovuta per la metà, considerato che le spese di lite erano state compensate.
2.1.- La corte d’appello ha affermato che, aggiungendo alla somma Euro 328.151,27 per capitale ed interessi (somma secondo la corte derivante da un conteggio esatto, ma in realtà erroneo per le ragioni sopra esposte nello scrutinio del primo motivo di ricorso), quella di “Euro 8.857,00 per spese di esecuzione, registrazione della sentenza, spese e diritti di precetto si giunge ad un totale di Euro 337.018,27, inferiore a quello di Euro 337.547,80 indicato nell’intimato atto di precetto”.
Ha in tal modo dato per scontato che le spese di registrazione fossero dovute per intero, in linea con quanto ritenuto dal primo giudice, secondo il quale tanto costituiva conseguenza del fatto che il creditore aveva dovuto procedere alla registrazione per agire coattivamente contro i debitori.
La conclusione sarebbe corretta se alla registrazione dovesse farsi luogo, e le relative spese dovessero essere affrontate dal creditore, vincitore in giudizio, solo per il caso che egli debba mettere in esecuzione il titolo. Esse costituirebbero allora conseguenza del persistente inadempimento del debitore soccombente per non avere, pagando, spontaneamente dato esecuzione alla sentenza. Ma così non è, giacchè la registrazione costituisce un’obbligazione tributaria indipendente dall’esecuzione del titolo (tanto che il suo inadempimento non può comunque precludere la tutela giurisdizionale in via esecutiva: Corte costituzionale, sentenza n. 522 del 2002); rappresenta invece una conseguenza ineludibile della sentenza, che ingenera un’obbligazione solidale delle parti verso il fisco, con conseguente ripartizione in sede di regresso, indipendentemente dal fatto che la sentenza sìa o non sia posta in esecuzione (ex plurimis, Cass., nn. 16212/08, 2500/01, 11324/96, 5707/91, sez. un. 8533/1990). Il problema sarebbe, se mai, quello di stabilire se le spese di registrazione di una sentenza debbano sempre ripartirsi in parti uguali fra le parti solidalmente obbligate verso il fisco, o se, in sede di regresso, debbano essere sopportate secondo lo stesso criterio seguito dal giudice per la regolazione delle spese processuali col provvedimento che chiude il processo innanzi a lui, conferendo a tale criterio la valenza di cui all’art. 1298 c.c., ultima parte comma 2: nel senso che esse si ripartiscono in modo uguale se non risulti diversamente, e che diversamente risulta quando il giudice le abbia appunto addossate in tutto o in parte alla parte soccombente che, avendo leso il diritto altrui, la lite ha provocato (criterio implicitamente seguito da Cass., n. 5707/91). Ma si tratta di un problema che nella specie non si pone, giacchè le spese erano state compensate, sicchè non sussistevano i presupposti perchè la parte che le aveva anticipate potesse richiederle per intero con l’atto di precetto, neppure attribuendo alla liquidazione giudiziale il valore di un titolo destinato a regolare quelle non ancora affrontate e tuttavia inevitabili in relazione al fatto stesso che sia stata pronunciata una sentenza.Il motivo è dunque fondato. 3.- In conclusione, accolto il ricorso e cassata la sentenza impugnata, la causa può essere decisa nel merito ai sensi dell’art. 384 c.p.c. con la declaratoria di inefficacia nel precetto nella parte in cui sono stati richiesti interessi sugli interessi annualmente maturati e l’intero importo delle spese di registrazione della sentenza, in luogo della metà.
Alla soccombenza consegue la condanna del C. alle spese dell’intero processo.

P.Q.M.

accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, in accoglimento dell’appello di G.P. e P.G., dichiara l’inefficacia del precetto nella parte in cui sono stati richiesti interessi sugli interessi annualmente maturati e l’intero importo delle spese di registrazione della sentenza, in luogo della metà; condanna C.L. a rimborsare ai ricorrenti le spese dell’intero processo, che per il primo grado liquida in Euro 1.400 di cui 100 per spese, per il secondo grado in Euro 1.800 di cui 60 per spese, per il giudizio di cassazione in Euro 3.000 di cui 200 per spese, oltre alle spese generali ed agli accessori di legge per ciascuna liquidazione.
Così deciso in Roma, il 25 novembre 2010. Depositato in cancelleria il 17 dicembre 2010

[:]

© Copyright - Martignetti e Romano - P.Iva 13187681005 - Design Manà Comunicazione Privacy Policy Cookie Policy